Intervista a Gianluigi Gelmetti

Pubblichiamo l’intervista di Edwin Lucchesi a Gianluigi Gelmetti sul rapporto del chitarrista con Giacinto Scelsi e Ko-Tha (la conversazione risale al 27 settembre 2016).

Edwin Lucchesi: Maestro Gelmetti, vorrei iniziare questa intervista chiedendole che ricordo ha del suo primo incontro con Giacinto Scelsi e di come è nata la sua collaborazione per portarla a eseguire Ko-Tha.

Gianluigi Gelmetti: Ho conosciuto Scelsi come direttore d’orchestra dirigendo alcuni suoi pezzi anche se, come lei sa, avevo precedentemente studiato chitarra, diplomandomi in Italia a 15 anni nel ’60 al Conservatorio di S. Cecilia, con l’allora docente M° Benedetto di Ponio. Mi diplomai assieme a Giovanna Salviucci – in seguito Marini – divenuta poi icona ed idolo della Canzone politica, figlia del grande Salviucci (compositore morto giovane, contemporaneo di Petrassi, da molti considerato il più grande della sua generazione). L’anno seguente si diplomarono Oscar Ghiglia e Giuliano Balestra. Poi… a seguire, fu un grande periodo. Decisi di abbandonare la pratica della chitarra nel ’63 quando, seguendo i corsi di Segovia, seguii quelli di Celibidache e mi interessai definitivamente alla direzione d’orchestra. La mia ripresa della chitarra per Ko-Tha è una storia un po’ buffa perché nel ’74 ricorrevano i 70 anni sia di Petrassi, compositore che ho molto stimato, sia di Scelsi. Tutti in quel periodo facevano concerti, serate ed eventi sulle opere e i lavori di Petrassi, e nessuno aveva pensato a qualcosa per Giacinto Scelsi. Questa cosa mi dava un po’ fastidio. Quindi organizzai all’Aquila, dove a quei tempi avevo appena fondato la Sinfonica Abruzzese, un concerto con musiche di Giacinto Scelsi.

Naturalmente non vi erano molti fondi, quindi non sapevamo come fare per concludere il programma. Decisi allora di fargli un omaggio, dicendo a Giacinto che avrei ripreso la chitarra dopo 11 anni per eseguire quel pezzo che lui aveva composto, ma non ancora pubblicato, che era Ko-Tha. Lui rimase un po’ perplesso chiedendosi come avrei potuto fare a eseguirlo, al ché lo tranquillizzai dicendogli che ci avrei pensato senza troppi problemi io. Così nacque il mio rapporto con il pezzo da cui ebbi in dono una chitarra – che oggi definirei “sacrificale” – per eseguirlo, adatta per eseguire il brano in libertà senza la preoccupazione di danneggiarla. Dal punto di vista chitarristico non è necessario avere una tecnica virtuosa dello strumento, ma va capito lo spirito della composizione, così come in tutta la musica di Scelsi, solo dopo la possiamo interpretare.

Quindi lei ha suonato quel pezzo quando lui l’aveva già composto.

Sì lui l’aveva già composto, io ho fatto delle piccole modifiche quando ancora non era stato pubblicato. Poi guardi, parliamoci chiaro, lei sa di tutte le polemiche su Scelsi che ci sono state con Roman Vlad, Vieri Tosatti che affermarono che erano loro ad avere in realtà scritto la sua musica. Su questa storia c’è stato un grande malinteso perché è vero che Giacinto si scocciava di scrivere la sua musica, lui aveva questa concezione del “divenire” nel momento in cui componeva e lui si considerava un mezzo in tutto questo processo. È buffo che due trascrittori come loro, che erano compositori stimatissimi, avessero avuto da ridire sulle sue composizioni: alla fine non escludo avessero messo un minimo di loro in quello che, nella stesura del pentagramma, erano comunque le idee e le volontà di Scelsi.

Pure per Ko-Tha fu così, qualcuno aveva messo per iscritto le idee iniziali che Scelsi aveva avuto e, successivamente, non ricordo precisamente quando, io ho aggiunto delle modifiche che Scelsi stesso aveva apprezzato molto prima della sua pubblicazione effettiva.

Infatti, lei fu il primo a eseguire pubblicamente questa composizione con la chitarra.

Sì, penso di sì. Come le dicevo, fu eseguito per la prima volta nel ’74 all’Aquila come seconda parte del programma, per un desiderio mio irrefrenabile di dire che non era giusto, senza nulla togliere a Petrassi, che nessuno si fosse preoccupato di fare qualcosa dedicato a Scelsi. Lui era un personaggio scomodo in quel periodo, anche al giorno d’oggi un po’ lo rimane, ma all’epoca nominare Scelsi voleva dire “morte civile”.

Secondo lei questo problema era derivato in parte dalla Generazione dell’Ottanta o vi erano altre motivazioni?

No, il problema era un altro, il problema è che lui aveva un suo modo aristocratico di avvicinarsi alla musica. Quindi lui aveva i suoi pezzi e poteva decidere di chiamare l’editore per pubblicarli, oppure se li teneva a casa se non riteneva necessario e faceva quello che si sentiva di fare senza badare ad altri, quindi aveva un carattere molto particolare. Poi stiamo parlando di un’Italia negli anni del grande impegno politico, quindi un aristocratico come lui ricco, principe, che faceva musica in quel modo, era visto male. Così come molti compositori lo vedevano come un dilettante, ed era odiato come persona per questo suo status. Aveva, dal canto suo, un gruppo di devoti che lo idolatravano e lo seguivano, e a lui piaceva molto fare il santone. Scelsi era stato un grande orientalista, io ero interessato in quel periodo più all’esoterismo di stampo occidentale che orientale, anche se a volte le due strade si avvicinavano.

Riguardo a questo aspetto mistico e orientalista, cosa ci può dire riguardo all’interpretazione di questi lavori di Scelsi? In un’intervista che Cuoghi fece a Scelsi, ricorda con molto piacere la sua posizione del loto che assunse durante l’esecuzione di Ko-Tha. Si ricorda – ed è realmente accaduto – questo aneddoto?

Sì, è vero, e certo che lo ricordo, non fu una scelta per rappresentare una futile coreografia perché, suonando più volte il pezzo, mi venne spontaneo assumere quella posizione, perché evidentemente il pezzo lo richiedeva. Ricordo che dissi a Scelsi: “Per piacere, tu sei stato il tramite per fare questo pezzo, adesso lasciami essere io il tramite per realizzarlo. Tu vieni a sentirlo e poi mi dirai.” Lui mi guardò e credo che rimanemmo per un bel quarto d’ora a fissarci senza dirci nulla. Alla fine mi disse “va bene”, mi dette il pezzo e da questo episodio gli tirai fuori quell’esecuzione che lui apprezzò moltissimo. Scelsi o lo capisci o non lo capisci, non è il suo un tipo di studio d’investigazione stilistica o altre cose del genere, non era questo il suo mondo. Aveva una sua filosofia e un suo modo di fare musica che lo rendeva geniale.

Infine volevo sapere quanto, secondo lei, in un brano come Ko-Tha, nato come un’improvvisazione e fissato su pentagramma come una composizione razionale, conti l’istintività e l’intenzionalità dell’interprete.

Istintintività e intenzionalità non sono due termini propriamente esatti. Non si tratta di prendere questa musica come un canovaccio oppure di andare oltre o di lasciare adito al proprio istinto. Se si vuole fare Scelsi, ci si deve mettere in uno stato di vibrazione come la sua, che era questo che lui insegnava agli altri e che io già avevo un po’ capito di mio. Questo stato non era istinto, era mettersi in una dimensione esecutiva particolare, che non era neanche più un’esecuzione ma era un rito, una preghiera o la chiami come le pare rispetto al suo credo. Non è che, preso dall’istinto in questo momento, improvviso; il suo “io” non deve prendere il sopravvento.

Scelsi stesso era l’abolizione dell’”io”, per questo faceva tutti questi studi orientali. Questo è uno dei motivi per cui lo rende così particolare, non è che lo si può suonare pensando “adesso arrivo, me lo imparo a memoria, poi faccio così, inserisco qualcosa di mio all’interpretazione, istintivamente improvviso”, no non è tutto questo ma è entrare in sintonia con la composizione, che è un’altra cosa.

Entrare in sintonia in una sua dimensione mistica, provandoci o illudendoci per quanto possibile di farlo, perché una composizione di Scelsi è un fatto mistico, se non si capisce questo non si è capito niente del suo lavoro. Bisogna entrare nel grande tutto in cui lui credeva, lasciandosi andare non come improvvisazione, non come intuizione ma, anzi, il contrario di tutto ciò. Bisogna diventare un mezzo, citando quello che avrebbe detto lui, un mezzo per esprimere qualcosa che già c’è e sempre ci sarà.

Ad ogni modo lui era una persona di un fascino e di una simpatia rara, sebbene a quell’epoca si era fatto tutte queste antipatie, per tutta una certa mentalità di mondo che c’era. Pensi che lui era talmente ricco che, non ricordo bene per quale discorso, qualcuno gli chiese perché non vendeva la resina che usciva dagli alberi che possedeva nelle sue incredibili pinete, che era un peccato buttarla via con la fortuna che ci avrebbe ricavato. “Arricchirmi… Arricchirmi sul sangue delle mie sorelle piante?”, questa fu la sua risposta. Ricordo che fu meraviglioso, e questo era Giacinto Scelsi.

Intervista a Gianluigi Gelmetti ultima modifica: 2017-05-18T13:06:04+02:00 da Luisa Santacesaria