Bias: intervista a Giovanni Lami

di Marco Baldini

lami

[Abbiamo intervistato il musicista e sound artist Giovanni Lami (Ravenna, 1978) in occasione della pubblicazione del nuovo album Bias per l’etichetta inglese Consumer Waste, prevista per il mese di aprile. Il lavoro, focalizzato sull’esplorazione delle possibilità timbriche del nastro magnetico, uscirà in formato CD in edizione limitata contenente un libretto di 16 pagine con grafiche di Giovanni Lami e un intervento di Francesco Bergamo.]

Nel tuo percorso musicale hai utilizzato una varietà di sorgenti sonore differenti, penso ad esempio ai field recordings con Enrico Coniglio, alla shruti box (con i suoi suoni propri e impropri) in Mema Verma e nel nuovo progetto al nastro magnetico con l’utilizzo di registratori a bobina, mantenendo però sempre un approccio alla materia sonora che ha reso riconoscibile il tuo linguaggio. Ci puoi parlare di quali sono le qualità che ti interessano in una sorgente sonora e come sei arrivato alla realizzazione di questo nuovo lavoro?

GIOVANNI LAMI: Mi interessa esplorare a fondo le caratteristiche sonore e strutturali di tutti i mezzi che utilizzo. Penso che alcuni strumenti tradizionali siano stati abbastanza sviscerati attraverso gli approcci più diversi (si pensi al pianoforte, alla chitarra, al violoncello, alla tromba, etc.), ma ognuno ha intrinseche caratteristiche che possono essere portate alla luce attraverso un uso non convenzionale, ed è proprio in quella “piega” che va ad innestarsi la mia ricerca.
Ciò che sto portando avanti da anni è una sorta di indagine all’interno di piccolissime aree sonore, dove ogni volta cambiano modalità, espressione e tipo di esecuzione (legate ai singoli strumenti), ma non l’idea alla base, cioè ottenere una sorta di strato multiplo di dettagli raggiungibili solo durante la pratica, lontani dell’uso canonico del mezzo. È come “far esplodere ed esplorare” uno strumento, un substrato, o l’insieme dei due.

Ci puoi illustrare cosa utilizzi e com’è strutturato il set che hai impiegato per questo nuovo lavoro?

G.L.: È una ricerca iniziata tra giugno e luglio 2015 attraverso alcune residenze: la prima in Austria all’Hotel Pupik (luogo attivo da oltre vent’anni, nei boschi della Stiria), la seconda in Grecia sull’isola di Syros (assieme a Michael Pisaro e Deborah Stratman), la terza a Forte Marghera, nella laguna veneta.
Concettualmente, è un progetto collegato alla memoria e al vuoto. Di fatto, alcuni nastri magnetici sono stati sepolti per mesi in diverse condizioni ambientali, facendo sì che il materiale ferromagnetico di supporto ed il supporto plastico stesso del nastro venissero degradati in modo totalmente imprevedibile ed irreversibile.
Quei nastri sono stati poi “riciclati” e utilizzati su diversi registratori a bobina (principalmente un paio di Nagra IV-S/SJ), andando ad “appoggiare” tutto lo sviluppo del lavoro sull’aumento del rumore di fondo causato dalla degradazione degli agenti ambientali, inserendo nei lunghi loop (uno almeno penetra sempre parte dell’ambiente ed è messo in tensione da diversi stativi) i suoni dei registratori, dei nastri, di lamelle e di piccoli oggetti catturati da quattro microfoni, oltre a pochissimi campioni (principalmente piccoli frammenti di cori registrati in Grecia totalmente deformati), restando sempre in una zona grigia di confine sonoro dove ogni piccolo evento colpisce ed influenza tutti gli altri in un cambiamento incessante. È un approccio molto statico e lento all’utilizzo del nastro magnetico, per nulla muscolare.
La presentazione mi vede sempre interagire ininterrottamente con lo spazio ospitante, prima attraverso un sopralluogo per disporre al meglio i punti di diffusione e comprendere le risonanze proprie del luogo poi, durante il concerto, invadendo parte dell’ambiente con alcuni nastri magnetici molto lunghi. In più l’esecuzione non sarà mai frontale ed il pubblico potrà decidere liberamente dove collocarsi se l’ambiente lo permette.

Hai un background come fotografo e artista visivo, come ti sei avvicinato alla ricerca sonora e come il tuo retaggio influenza la tua esperienza musicale?

G.L.: Penso sia stata naturale la transizione all’interno del field recording non appena decisi di abbandonare la fotografia, in qualche modo era generata dallo stesso tipo di interesse verso il mondo circostante, semplicemente facendo uso di un altro mezzo ed un altro tipo di percezione. Sicuramente il mio percorso all’interno delle arti visive ha avuto un peso, ma credo sia successo soprattutto in un primo momento, non sarebbe potuto essere che così, continuo ad avere un rapporto molto altalenante e contraddittorio con le immagini fotografiche in particolare.

Sei membro di Auna, realtà che riunisce alcuni dei più interessanti personaggi attivi nella ricerca elettroacustica della scena musicale italiana e non solo che condividono, pur nelle differenze, un approccio estetico comune. Com’è nata quest’esperienza?

G.L.: Sinceramente, ora a distanza di anni, non ricordo come sia nata… Semplicemente credo sia stato un bisogno comune, portato alla luce e condiviso. Inizialmente abbiamo fatto un paio di incontri tra noi – chiusi – per il gusto di incrociare idee, confrontarsi e suonare in una forma molto libera senza doversi misurare con un pubblico. In un secondo momento si è aggiunta la possibilità di aprire ad ascoltatori “l’esito” di queste sessioni, alla sera. In questa forma sono state strutturate tre rassegne: purtroppo l’ultima, causa maltempo (allagamento di Milano ed anche dello spazio che ci ospitava), oltre ad essere stata completamente castrata ha atterrato molto le energie (e ti assicuro che quelle in gioco erano molte, soprattutto per chi si prendeva l’impegno di organizzare) per lo sviluppo futuro di questa proposta. Purtroppo ad oggi non abbiamo più parlato della possibilità di riproporre Auna, però quell’esperienza è stata fondamentale per approfondire soprattutto i rapporti umani, più che musicali, che non si sono persi anzi, sono sempre molto saldi nonostante (con alcuni) la lontananza geografica.

Ci puoi parlare di qualche compositore o musicista elettronico, della tradizione colta e non, che ha influenzato il tuo modo di approcciarti all’esplorazione sonora?

G.L.: No, non te ne parlerò, ti scrivo invece gli artisti (una manciata) presenti sul mio iPhone oggi:
Ahnnu, Andrea Penso, Angel Olsen, Anthony Child, Bruno Guastalla, Carlos Casas, Dan Gibson, David Toop, Dj 光光光, FKA Twigs, Ghédalia Tezartès, Graham Lambkin, Matthew P. Hopkins, Michael Pisaro, Miriam Burton, Nobuto Suda, Oneohtrix Point Never, Patrick Farmer, Paul Whitty, Radio Cegeste (Sally Ann McIntyre), Rupert Clervaux & Beatrice Dillon, Sarah Hughes, Steve Duglas.

 

Khora /terrace from Giovanni Lami on Vimeo.

img: Giovanni Lami © Andrea Loria

Bias: intervista a Giovanni Lami ultima modifica: 2016-04-08T10:18:16+02:00 da Giulia Sarno

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