[In occasione del centenario dalla nascita di Pietro Grossi, musicaelettronica.it propone una serie di contributi dedicati al pioniere della computer music in Italia.]
Nell’articolo precedente abbiamo raccontato l’approccio di Grossi al calcolatore e i suoi primi esperimenti effettuati presso la sede milanese della Olivetti-General Electric. In questo articolo tratteremo il periodo cosiddetto pisano, in cui il musicista veneziano sviluppò le teorie e le soluzioni più innovative e visionarie.
Dopo la pubblicazione del disco che raccoglieva gli esperimenti grossiani, la Olivetti perse interesse nelle ricerche sonore portate avanti da Grossi al calcolatore. Quindi il musicista cominciò a guardarsi intorno, per capire se ci fosse qualche altra istituzione interessata ad appoggiare la sua ricerca. Grazie ai suoi contatti personali e facendo leva sulle rivalità aziendali, riuscì a entrare in contatto con la IBM, che aveva la propria sede a Pisa e il proprio centro di ricerca e sviluppo all’interno del CNR della città toscana. Il suo colloquio con i vertici dell’azienda suscitò un discreto interesse. Infatti sia l’azienda sia il CNR si attivarono fin da subito a portare avanti le ricerche del musicista e, per far ciò, lo misero a capo di un istituto creato appositamente all’interno del CNR, il CNUCE (Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico).
Il centro fu fondato sul finire del 1967. All’istituto fu consentito l’utilizzo del calcolatore centrale in possesso dell’università, una macchina estremamente potente per il tempo che quindi consentiva a Grossi di osare maggiormente nelle sue ricerche.
In un primo momento, la metodologia di lavoro di Grossi non cambiò molto rispetto al periodo milanese. Infatti, anche questo nuovo calcolatore andava programmato inserendo i programmi attraverso l’utilizzo di schede perforate; questo processo richiedeva molto tempo e impegno sia da parte del musicista sia da parte dei programmatori e tecnici che lo supportavano. Tuttavia, dopo qualche mese di lavoro, il centro fu dotato di un’innovazione molto importante: un terminale video direttamente collegato con il calcolatore. In questo modo, Grossi poté iniziare a lavorare autonomamente, imparando la programmazione informatica e programmando il computer direttamente, chiedendo aiuto soltanto per risolvere i problemi più ostici.
Il primo frutto di questo lavoro autonomo fu il DCMP (Digital Composer Music Program), un software per l’informatica musicale elaborato quasi esclusivamente da Grossi. Era un programma completo che consentiva l’inserimento di composizioni musicali all’interno della memoria del computer, la loro eventuale modifica seguendo diversi parametri e la loro esecuzione. Il timbro del suono in uscita era ancora quello “più brutto del secolo”, ovvero quello di onda quadra, questo perché il calcolatore non era ancora sufficientemente potente per generare timbri complessi e, contemporaneamente, riprodurre le note desiderate. Quindi il musicista optò ancora per un po’ per questa soluzione poco dispendiosa dal punto di vista della potenza di calcolo.
Questo fa notare come a Grossi interessasse più il processo del risultato finale. Il DCMP, abbiamo detto, consentiva diversi tipi di modifiche dei brani in memoria. Tutte le modifiche avvenivano in tempo reale, ovvero quando il musicista digitava il comando sulla tastiera del terminale. Le variazioni avvenivano principalmente sui parametri delle altezze e del ritmo delle note, dato che non c’era la possibilità di variare il timbro. La successione di note poteva essere invertita, riprodotta in maniera retrograda, una nota sì e una no, e così via. In sintesi, il musicista poteva cambiare tutti i parametri delle note e del rapporto tra loro.
Utilizzando questo sistema, Pietro Grossi trascrisse un gran numero di composizioni del repertorio colto occidentale e utilizzò il materiale sonoro di queste composizioni per la creazione di nuovi brani e concetti. Infatti, già a partire dal DCMP, Grossi implementò una funzione chiamata Create che, se avviata, produceva autonomamente una successione di suoni seguendo le regole dettate da un algoritmo funzionante secondo le regole del calcolo combinatorio. In particolare, i parametri generati erano tali che il computer non doveva calcolare successioni di note uguali ad altre suonate in precedenza. Da qui, quindi, discende il concetto di musica infinita e di composizione automatica, ovvero una musica composta in maniera autonoma dal computer e che non abbia potenzialmente mai fine. Possiamo collegare questa modalità al concetto di flusso che caratterizza i processi interni della macchina calcolatrice che, quando in funzione, è continuamente operativa. Questo approccio legato al flusso di dati prodotto dal computer caratterizzerà poi tutta l’opera futura del compositore. Tuttavia, era già implicita in lavori quali Battimenti o Progetto 2-3, progettati per non avere una durata predefinita.
Il DCMP fu impiegato da Grossi per circa 5 anni. Nel 1972, infatti, il CNUCE iniziò la costruzione di un nuovo sintetizzatore, il TAU2. Questo aveva le dimensioni di un armadio e poteva riprodurre fino a 12 voci, raggruppate in 3 canali diversi per il timbro. Le due maggiori innovazioni introdotte con il TAU2 furono proprio la possibilità di riprodurre musiche polifoniche e quella di riprodurre timbri diversi. Questi timbri venivano ottenuti grazie alla tecnica della sintesi additiva, ovvero alla sovrapposizione di sinusoidi prodotte dagli oscillatori interni al sintetizzatore, gestiti dal computer.
Grazie a questa macchina, molto potente per il tempo, Pietro Grossi riuscì a sviluppare ulteriormente le sue idee musicali, realizzando brani come la serie di composizioni chiamate SoundLife, o Unicum, una composizione infinita che era pensata per non ripetersi nemmeno nelle fasi iniziali dell’avvio del processo. Infatti, il programma registrava in memoria lo stadio di avanzamento del processo prima che venisse arrestato e, all’avvio successivo, la generazione sonora ripartiva da quel punto, rendendo impossibile che si ripresentassero due situazioni analoghe. Sulla scia di questo approccio, Grossi implementò delle funzioni per ascoltare cosa il computer avrebbe suonato in un momento determinato nel futuro e nel passato, anticipando o andando a ritroso nel flusso dei calcoli.
Questo fu un periodo particolarmente fruttuoso per Grossi. Infatti il CNR di Pisa era allora, come in parte lo è ancora oggi, uno dei centri di ricerca di eccellenza in Italia per quanto riguarda le tecnologie delle comunicazioni. In questo centro, nel 1986, fu ospitato il primo nodo europeo della nascente rete Arpanet, antenata di Internet. Tuttavia, Grossi già da prima aveva iniziato a effettuare esperimenti di trasmissione del suono. La prima esperienza avvenne tra Pisa e Rimini, dove Grossi era ospite a un convegno sulla tecnologia promosso dal Centro Pio Manzù, nel 1970. Grazie a un collegamento telefonico Grossi comandava il computer situato a Pisa da un terminale installato a Rimini e faceva ascoltare il risultato sonoro attraverso un ponte radio fornito gentilmente dalla RAI. Questa fu la prima esperienza di telematica musicale documentata al mondo che avrebbe poi portato allo sviluppo delle reti di telecomunicazioni. Grazie a questa innovazione, Grossi riuscì anche a far suonare il TAU2 ai suoi allievi del Conservatorio di Firenze, dove istituì una pionieristica classe di informatica musicale. Attraverso un terminale posto al Conservatorio, collegato telefonicamente al CNR di Pisa, gli studenti potevano suonare il TAU2 e ascoltare immediatamente il risultato sonoro della loro attività.
Questo periodo molto lungo e fruttuoso per Grossi si avviò verso la conclusione a partire dalla metà degli anni ‘80, quando il CNR decise di non sviluppare ulteriormente il TAU2 né di sostituirlo con un sintetizzatore più moderno e potente. Quindi Grossi, dopo un breve periodo di lavoro presso il CNR di Firenze, cominciò a interessarsi all’utilizzo dei personal computer, che andavano diffondendosi proprio in quel periodo. Si sentì attratto dalla possibilità di poter lavorare tranquillamente nella propria abitazione, senza dover dipendere dai tempi e dalle esigenze degli istituti di ricerca. Quindi decise di acquistare uno di questi nuovi computer compatti e diede il via all’ultima fase della sua carriera, che sarà illustrata nel prossimo articolo.
Lascia una risposta