Il Prometeo di Luigi Nono al Farnese di Parma

di Daniela Fantechi

Il 26, 27 e 28 maggio va in scena al Teatro Farnese di Parma l’opera Prometeo. Tragedia dell’ascolto di Luigi Nono. L’allestimento arriva assieme alla nuova edizione della partitura a cura di André Richard e Marco Mazzolini per Ricordi.
L’opera prevede solisti vocali e strumentali, un coro misto, quattro gruppi orchestrali e live electronics. Gli interpreti di questa edizione sono i soprani Livia Rado e Alda Caiello, i contralti Katarzyna Otczyk e Silvia Regazzo, il tenore Marco Rencinai; il coro del Teatro Regio di Parma, diretto da Martino Faggiani; le voci recitanti di Sergio Basile e di Galatea Ranzi. Marco Angius dirige la Filarmonica Arturo Toscanini e i solisti dell’Ensemble Prometeo, mentre il delicato compito di realizzazione del live electronics è affidato allo storico collaboratore di Luigi Nono Alvise Vidolin, e a Nicola Bernardini. Per avvicinare il pubblico all’opera, il Teatro Farnese propone il progetto Focus Prometeo, un calendario di letture, film, laboratori, lezioni concerto, e incontri con ospiti del calibro di Massimo Cacciari, Nuria Schonberg Nono, Marco Angius, Alvise Vidolin, Angela Ida De Benedictis ed Enzo Restagno.

Non è un’opera. Né un melodramma, né una cantata, né un oratorio, né un concerto. È una tragedia composta di suoni, con la complicità di uno spazio.

Luigi Nono descrive così l’opera, frutto della sua collaborazione con una équipe di notevole spessore, in occasione della première nel 1984: il filosofo Massimo Cacciari per i testi, Claudio Abbado per la direzione, Renzo Piano per lo “spazio musicale”, Emilio Vedova per gli interventi luce e Hans-Peter Haller dello studio di Friburgo per la regia del suono. Il Prometeo, uno degli ultimi lavori di Nono, è un’opera complessa in cui il compositore si concentra su un tema che gli è estremamente caro: l’ascolto. Nono ritiene fondamentale cercare di liberare l’opera dalla servitù dell’immagine e della narrazione, e sottolinea l’importanza della relazione tra suono e spazio – intesa anche nella forma in cui ogni singolo suono si compone con gli altri suoni nell’ambiente -, relazione penalizzata dalle consuetudini di riproduzione delle sale da concerto e dei teatri tradizionali. Da qui la necessità di avere un luogo speciale, che renda possibile diverse modalità di distribuzione spaziale del suono, in cui l’ascolto possa essere liberato. Quello pensato da Renzo Piano per la prima esecuzione veneziana del Prometeo del settembre 1984 nella chiesa di San Lorenzo è uno spazio nato con l’opera e per l’opera. Una non-scenografia, un dispositivo architettonico costruito sulla base di specifiche esigenze musicali, con l’intento di restituire lo spazio alla dimensione dell’ascolto e alla qualità invisibile del suono.

Nelle rappresentazioni successive dell’opera, l’arca realizzata da Renzo Piano non è più utilizzata. Ma non viene meno l’attenzione all’allestimento spaziale. Nel 1987, ad esempio, per l’esecuzione giapponese dell’opera, il progetto di un nuovo spazio è affidato all’architetto Arata Isozaki, guidato dalle indicazioni di André Richard, delegato fin dal 1985 dallo stesso Nono alla direzione artistica dell’opera.
In ogni caso lo spazio rimane un elemento decisivo sul quale si fonda il tutto il pensiero del Prometeo. Anche nella stessa organizzazione formale dell’opera la metafora essenziale, quella dell’arcipelago, è di natura spaziale. Cacciari infatti concepisce il libretto come un arcipelago formato da cinque isole, mischiando testi in italiano, tedesco e greco antico, di differenti autori ed epoche, realizzando così un libretto senza tempo, metafora a sua volta di possibili percorsi di conoscenza e di esperienza.
Le citazioni utilizzate per la costruzione del testo sono tratte da Walter Benjamin (Sul concetto di storia), da Eschilo (Prometeo incatenato), da Euripide (Alcesti), da Johann Wolfgang von Goethe (Prometeo), da Erodoto (Storie I, 32), da Esiodo (Teogonia), da Friedrich Hölderlin (Schicksalslied e Achill), da Pindaro (Nemea, VI), da Sofocle (Edipo a Colono), da Arnold Schönberg (Das Gesetz e Moses und Aaron).

Nono attinge in seguito al libretto di Cacciari per tracciare il proprio percorso e struttura l’opera in nove parti, ciascuna caratterizzata da un organico peculiare e da un diverso uso della voce.

L’opera si apre con un Prologo in cui alcune le due voci soliste recitano passi della Cosmogonia di Esiodo, mentre il coro canta brani in prosa tratti da Benjamin, che fungono da commento a Esiodo. L’orchestra si alterna ai solisti, il trio d’archi da un lato e il duo flauto basso e clarinetto contrabbasso dall’altro.
Segue l’Isola I scritta come un dialogo tra il trio d’archi e i gruppi orchestrali: a parte pochi interventi del coro, il testo segnato in partitura non è da leggere, né da cantare, ma da ascoltare intimamente mentre si suona, con un procedimento che rimanda a Fragmente – Stille an Diotima.
L’Isola II è suddivisa invece in tre momenti distinti: Io-Prometeo, in cui i quattro gruppi orchestrali si alternano al flauto basso e clarinetto contrabbasso che sostengono leggerissimi il canto del coro; Hölderlin, in cui frammenti del celeberrimo Schicksalslied sono cantati da due soprani soli, contrappuntati da Flauto basso e dal Clarinetto contrabbasso, e dalle voci mormorate sul microfono articolando molto le consonanti; e infine lo Stasimo I, costituito da un susseguirsi di brevi frammenti musicali con continue variazioni dinamiche e agogiche dei soli, del coro e dei quattro gruppi orchestrali.
L’Interludio primo, uno dei momenti più delicati dell’opera, è un dialogo ai limiti dell’udibilità tra una sola voce di contralto, flauto basso, clarinetto basso e tuba.
Segue Tre Voci a, in cui si sovrappongono tre livelli sonori distinti: tre voci soliste, un euphoniun, e un impercettibile sfondo sonoro degli archi.
Isola III, IV e V formano un unico episodio, benché ciascuna isola sia caratterizzata da un organico vocale e strumentale differente: le tre isole si alternano fra loro e si ripetono, assieme al coro che esegue una “eco lontana” dal Prologo.
Riprende Tre voci b, in cui il coro a cappella intona frammenti di testi di Benjamin, alternando tre diversi livelli dinamici, ciascuno associato ad un preciso andamento agogico (♩= 30 ppp, ♩= 60 p, ♩=120 fff).
L’Interludio II, è un brano orchestrale che combina i suoni gravi di quattro gruppi composti da violoncello, contrabbasso, fagotto e trombone, con quelli trattati elettronicamente delle campane di vetro.
L’opera si conclude con lo Stasimo II. Quest’ultima parte, come già lo Stasimo I, presenta il sottotitolo “A sonar e a cantar”, che rimanda alla tradizione veneziana dei cori battenti praticata da Giovanni e Andrea Gabrieli nel Cinquecento. In quest’ultima parte l’andamento delle voci – due soprano, contralto, tenore, basso – e degli strumenti solisti – flauto basso, clarinetto (o clarinetto contrabbasso), trombone (o tuba) -, è spesso omoritmico.

In tutta l’opera l’elettronica gioca un ruolo fondamentale nel disegnare il suono, nel delineare lo spazio e nel condurre una navigazione immaginaria ai confini del suono e del silenzio.

img: Annibale Carracci, Prometeo liberato da Ercole

 

Il Prometeo di Luigi Nono al Farnese di Parma ultima modifica: 2017-05-23T12:11:58+02:00 da Daniela Fantechi

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