Cristalli armonici: intervista a Roberto Laneri

di Marco Baldini e Luisa Santacesaria

[Qualche mese fa abbiamo incontrato, nella sua casa romana, Roberto Laneri, musicista, compositore e teorico. Laneri, tra le figure più influenti della scena musicale contemporanea, nel corso della sua carriera ha attraversato varie fasi di sperimentazione sonora e collaborato con compositori e artisti straordinari e, da decenni, si sta dedicando alla ricerca intorno alle tecniche e pratiche del canto armonico. A marzo 2023 è uscito per Blume Editions il cofanetto “Harmonic Crystals”, realizzato in collaborazione con Agnese Banti, che ha partecipato alla nostra conversazione. Nell’intervista abbiamo ripercorso la vita artistica di Roberto Laneri, dal clarinetto agli studi di composizione a Buffalo e San Diego, dal gruppo vocale Prima Materia fino ai cristalli armonici.]

Iniziamo con una domanda molto generale, che riguarda la tua storia di musicista, di artista. Come racconteresti il passaggio dalla tua carriera di clarinettista e dallo studio della musica contemporanea al tuo interesse per il canto armonico?

Io vengo dalla musica contemporanea dura e pura. Suonavo pezzi per clarinetto composti da Boulez, Berio, ecc. Il passaggio avvenne tramite la scoperta del canto armonico e della serie degli armonici. Per me si trattò di una scoperta intesa in senso molto, molto reale. Dal punto di vista teorico, è una conoscenza che si apprende solitamente a pagina 2 del libro di teoria e solfeggio, dove c’è scritto, in due righe, che esistono gli armonici ma che noi non li usiamo perché abbiamo un altro sistema di intonazione (ma non viene spiegato quale!)

Insomma, è successo che, appena finito il master in Composizione a Buffalo – dove c’era il centro di musica contemporanea di Lukas Foss e Lejaren Hiller, dove poi subentrò Morton Feldman – sarei dovuto andare all’Università di California, a San Diego, a fare il mio PhD. Nel periodo di pausa tra Buffalo e San Diego, era estate, tornai a Roma per un mese. Una sera, mentre mi trovavo in una tipica terrazza romana, con il vento che soffiava tra le foglie, cominciai a sentire gli armonici, a sentirli veramente. Ero con due amici, tra cui un amico americano cornista, e abbiamo cominciato a canticchiare insieme al rumore del vento, pianissimo, per diverse ore. Ricordo che ero in grado di riconoscere gli intervalli e che questo esercizio durato ore mi aveva permesso poi di rifarlo anche il giorno dopo. Parto per San Diego dopo pochi giorni e, una volta arrivato, vado al Dipartimento di Musica. Lì faccio conoscenza con un po’ di persone, tra cui la cantante Linda Vickerman, che collaborava con il Center for Music Experiment, un posto dove sono state fatte cose veramente molto, molto interessanti. Linda mi spiega che stanno cercando di mettere insieme un gruppetto di musicisti per studiare vocalità extraeuropee. Così, inizio a cantare dentro a questo gruppo. Nelle nostre sessioni, ascoltavamo il nastro di un pastore mongolo che faceva deep throat singing. Eravamo in cinque, sei, non di più, e cercavamo di riprodurre quello che sentivamo nel nastro, senza che nessuno ci insegnasse nulla. 

Io non conoscevo quello stile di canto – ai tempi conoscevo solo il canto tibetano – ma in un paio di mesi riuscimmo a replicarlo in modo abbastanza soddisfacente. Insomma, tutto cominciò così. Con questo gruppo cominciammo a lavorare: facevamo dimostrazioni, concerti, improvvisazioni. Poi l’esperienza si interruppe: per la maggioranza dei membri il senso del nostro lavoro doveva essere quello di “espandere le risorse” per i compositori contemporanei (lavorare sulle cosiddette “extended vocal techniques”). A me questo approccio sembrava molto riduttivo perché sentivo che in realtà, mi apriva porte molto più lontane.

In poco tempo scoprii poi che non mi interessava più di tanto studiare ed eseguire questi pezzi difficilissimi con il clarinetto. Mi sentivo ormai piuttosto lontano da queste cose. 

Che anni erano?

Era il 1972.

Dunque, sei arrivato al canto armonico per via imitativa, non hai avuto un maestro vero e proprio?

No, non c’erano maestri, è tutto accaduto per via imitativa.

Questo è un aspetto molto interessante perché nel tuo libro La voce dell’arcobaleno sono illustrate diverse tecniche e stili.

Sì, è tutto avvenuto per via imitativa, che poi se ci pensate è anche il modo in cui questo canto viene normalmente insegnato. Nei seminari con i vocalists locali loro fanno un suono e tu lo devi ripetere, senza spiegazioni. Non ne ho mai frequentati, ma ho frequentato workshop di didjeridoo con maestri aborigeni dove succede la stessa cosa. Ovviamente hanno anni a disposizione, è un po’ diverso.

In realtà, lavorando a Buffalo col gruppo di Petr Kotik, con Julius Eastman e altri, usavamo anche la voce. Per esempio, in Macle, un pezzo di Julius dove la voce è usata in maniera un po’ dada, un po’ provocatoria. 

Vi racconto un aneddoto. Noi facemmo la prima europea dei Song Books di John Cage alla Radio di Colonia. Funzionava così: ognuno di noi si sceglieva quattro o cinque di questi pezzi, o forse anche di più, e si facevano in contemporanea, in puro “stile Cage.” Allora andiamo in questa Großer Saal, la grande sala della Radio di Colonia, dove facevano anche i concerti e i microfoni erano montati su enormi giraffe. Io avevo scelto di eseguire un pezzo che, come specifica Cage, deve essere cantato col pugno alzato – il saluto dell’anarchia – e con la bandiera nera dell’anarchia nell’altra mano. Il testo erano due righe di Thoreau, “The best form of government is not government at all”, e Cage specifica che deve essere cantato con una voce come da ubriaco, in modo un po’ stentoreo. Così, pensando a come fare, davanti a una di queste aste, ho arrotolato la bandiera nera intorno all’asta con un cordino, in modo da poter tirare il cordino e fare scendere la bandiera mentre canto. Insomma, il fato volle che proprio lì davanti fosse seduto Stockhausen. Praticamente gli ho urlato nell’orecchio queste cose. Ma non gli piacque perché pensava forse che volessimo prenderlo in giro, non so che cosa.

Perché era già uscito Stockhausen Serves Imperialism di Cardew?

No, era il 1971. Comunque, rosso in faccia, Stockhausen venne da noi e disse: “Ah, Cage ormai fa musica come i suoi allievi, non bisogna ascoltarlo più”. Un piccolo aneddoto interessante, nel senso che usavo la voce, sì, però in modo teatrale, più teatrale che musicale. Tenete presente che è come per me il solfeggio cantato: quando studiavo al conservatorio era una vera tortura e io passavo per stonato perché, penso, mi veniva insegnato male. Quindi mi sono avvicinato alla voce in questo modo e poi ho trovato una collocazione più giusta per me. 

Ci racconti che cosa sono i cristalli armonici? E come poi sei arrivato a elaborare questa tecnica a partire dal canto armonico.

Con Prima Materia noi improvvisavamo sempre, non avevamo cose scritte o elaborate prima. Avevamo un certo tipo di routine basato sul crescere dell’energia sonora, nel senso che si cominciava piano poi si aggiungevano altri elementi via via, però era sempre improvvisazione. Avevamo notato quel fenomeno acustico – la fase – ovvero, quando si improvvisa su fondamentali, complicate dalla presenza di armonici, e succede che puoi cantare “in fase”. In pratica, se io faccio una nota, ad esempio un do con un sol come sesto armonico e tu fai un mi bemolle con un sol come quinto armonico, improvvisando, si sente che questi due suoni entrano in fase, si rinforzano. C’è proprio l’impressione fisica che il suono cammini, anzi che corra. Altre volte, quando gli armonici sono in conflitto tra loro, sembra si blocchi tutto, si fa una gran fatica e non esce fuori niente. La cosa è cominciata molto tempo fa, notando questo fenomeno e cercando di capire com’è che si verifica. Poi ho pensato che, facendo una griglia con gli armonici su una scala cromatica, si vedono gli armonici che coincidono e così è nata l’idea. Ci son voluti vent’anni anni o trenta per arrivarci ma poi si è pensato di registrare, di formalizzarli e vedere quali fossero le possibilità. Così ho elaborato una partitura, una matrice degli intervalli con armonici coincidenti, che con Agnese Banti abbiamo registrato scegliendo come fondamentale più bassa un La a 110 hertz.

A questa cosa ho dato il nome di convergenza armonica: quando si converge sullo stesso armonico su fondamentali diverse. Nelle musiche tradizionali di Tuva, Mongolia, ecc., si sta essenzialmente su una fondamentale perché si tratta di musica modale. Però poi a noi occidentali piace la verticalità, non c’è niente da fare, prima o poi si riscopre l’armonia, la sovrapposizione, e si notano queste cose che ho detto prima. Convergenza armonica significa questo, è qualcosa che si può scrivere o che può avvenire anche improvvisando quando ci si conosce un po’. Secondo me è come per un jazzista che impara a suonare sugli accordi di undicesima e tredicesima. Detto così sembra una cosa impossibile ma poi alla fine lo fai.

Parli di cristalli per la forma con cui si incrociano?

Sì, io ci vedo un certo isomorfismo, prima di tutto perché ho scoperto queste cose leggendo che i cristalli si accrescono e lo stesso fanno i cristalli armonici. Possiamo partire da un intervallo, per esempio una quinta, una terza, una quarta e così via e poi aggiungerne altri, purché ci sia questa convergenza degli armonici. L’altro fattore è che quando un cristallo attraversato dalla luce solare viene ruotato, a seconda della rotazione, la luce si scompone in modo diverso, cambia il colore. È un po’ la stessa cosa con i cristalli armonici quando cambiano gli armonici ma si mantiene la convergenza. Quindi da una parte è una sorta di analogia un po’ poetica, dall’altra, secondo me c’è un isomorfismo reale.

In cristallografia si parla dei fuochi del cristallo, cioè i punti di convergenza dei raggi di luce ed è lo stesso che succede nei cristalli armonici. I punti di convergenza sono assimilabili ai fuochi del cristallo.

A marzo 2023 è uscito in edizione limitatissima (80 copie) per Blume Editions Harmonic Crystals, un cofanetto di 12 audiocassette dal sottotitolo “converging overtone structures for overtone singing”, che è andato sold out in pochi giorni. Come avete lavorato con Agnese Banti alla realizzazione di queste incisioni?

Partiamo dal fatto che il lavoro intorno un progetto musicale non è mai meramente tecnico e ci vuole sempre un livello di comprensione e complicità artistica. Aspetti che ho trovato sia in Fabio Carboni di Blume Editions che ha deciso di pubblicare 86 tracce così particolari, sia in Agnese Banti, musicista ed amica che, oltre ad avermi aiutato in questo lavoro lungo e metodico, ha capito e interiorizzato l’idea dei cristalli dedicandosi sia ad aspetti sonori, per quanto riguarda le registrazioni e la finalizzazione delle tracce audio, che a questioni teoriche, ovvero quella che abbiamo chiamato “silloge” (catalogazione, nomenclatura) e la rappresentazione grafica dei cristalli. A5.1.1, fra le illustrazioni, è uno dei nostri cristalli preferiti e infatti lo abbiamo scelto per registrarne una versione lunga con le entrambe le nostre voci che speriamo di pubblicare presto.

Schizzi per la ricerca grafica sui Cristalli Armonici © Agnese Banti
Silloge
(dal libretto di HARMONIC CRYSTALS, converging overtone structures for overtone singing –
BLUME EDITIONS, 2022)
Cristallo Armonico A5.1.1 © Agnese Banti

Roberto Laneri con Agnese Banti

Foto © Agnese Banti e Benedetta Manfriani

Cristalli armonici: intervista a Roberto Laneri ultima modifica: 2023-11-10T12:32:55+01:00 da Luisa Santacesaria

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