Il suono del progresso | Intervista a Lelio Camilleri

di Luisa Santacesaria

[È uscito a gennaio del 2022 per i tipi di Arcana Il suono del progresso. Esplorazioni sonore nel rock progressivo di Lelio Camilleri, compositore e docente di Composizione Musicale Elettroacustica al Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze. Dopo I sogni d’oro dei Beatles. Guida all’ascolto di Abbey Road (Arcana, 2019), di cui ci aveva parlato in un’interessante intervista per musicaelettronica.it, nel suo nuovo libro Camilleri passa ad analizzare i punti di contatto tra le esperienze e le ricerche sonore proprie della musica elettroacustica e il loro impatto su altri mondi musicali, come quello del rock progressivo. L’autore, che il prossimo 25 maggio alle 17:00 presenterà il libro alla Sala Storica Dino Campana della Biblioteca delle Oblate (via dell’Oriolo 24, Firenze), ha risposto ad alcune nostre domande.]

Come scrivi nella premessa del libro, il rock progressivo e la musica elettroacustica sono due mondi musicali apparentemente distanti ma che, in realtà, hanno avuto molteplici punti di contatto. Quando e come hai ricostruito per la prima volta questa connessione? C’è stato un ascolto o un episodio in particolare?

La connessione è venuta in modo naturale perché fin da quando ho iniziato i miei studi musicali e poi nel 1975 mi sono iscritto al corso di Musica Elettronica al Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze, mi sono immediatamente accorto che c’erano delle forti relazioni fra alcune musiche che ascoltavo, principalmente fra molte esperienze del rock progressivo e le musiche elettroacustiche.

Gli ascolti che hanno fatto scaturire queste relazioni sono sicuramente dovuti ad alcuni dei dischi che analizzo nel libro, Wyatt e Henry Cow per esempio. Molti anni dopo, ho capito che sarebbe stato interessante studiare il rock progressivo con un approccio analitico mutuato dalla musica elettroacustica, cosa che ho fatto anche nei miei libri precedenti. 

Puoi fare qualche esempio delle tecniche proprie della musica elettroacustica usate nel rock progressivo – fissaggio del suono su supporto e manipolazione, organizzazione dello spazio sonoro, impiego di suoni elettronici e/o dal mondo reale, ecc. – citando alcuni brani in particolare, anche tra quelli analizzati nel tuo volume?

Il primo esempio che mi viene da fare riguarda il fatto che alcuni dischi, quello di Wyatt, gran parte di quello di Hopper, così come Lumpy Gravy di Zappa, sono irrealizzabili dal vivo, almeno in quella veste. Questo è già di per sé un esempio di come il musicista rock lavora in modo simile al compositore di musica elettroacustica: registra, trasforma e usa le tecniche di editing, montaggio e mixaggio come strumenti compositivi e non solamente tecnologici. Poi, naturalmente, il fatto di usare il formato registrazione come principale mezzo di composizione fa sì che l’ambito del mondo sonoro impiegato si ampli, da qui l’introduzione di suoni del mondo reale (Alan’s Psychedelic Breakfast dei Pink Floyd) e l’inclusione dei suoni elettronici non in quanto prodotti da strumenti musicali (i sintetizzatori), ma considerati come materiali sonori, solo per citare due aspetti. 

A questo proposito, i Tangerine Dream sono un esempio in cui si trova sia l’uso del suono elettronico come suono “strumentale”, sia come un materiale sonoro complesso, svincolato dalla sorgente che lo produce. Ho potuto anche constatare, in riferimento al disco di Wyatt THE END OF AN EAR, a cui dedico un intero capitolo, come ci siano anche dei concetti simili fra compositori di questi due mondi. Nella serie di conversazioni che ho avuto con Wyatt a proposito di questo album, lui ha usato il termine landscape (paesaggio) per definire un tipo di organizzazione dei suoni in questi pezzi, un termine che usa in modo simile il compositore elettroacustico Trevor Wishart. 

Nella tua esperienza di docente di composizione e analisi di musica elettroacustica, ti capita mai di analizzare con gli studenti il processo compositivo di brani che provengono da altri mondi rispetto alla musica di ricerca, ma condividono gli stessi procedimenti e tecniche?

Certo, capita, anche perché spesso è interessante far notare come l’impiego creativo di alcune tecniche e l’inclusione di altri tipi di materiali sonori, influenzano il compositore ad ampliare anche l’orizzonte del suo “linguaggio”. Perché, altra caratteristica comune, l’ampliamento del mondo sonoro non significa solo estendere le possibilità timbriche, ma anche realizzare nuovi discorsi sonori e musicali che molti di questi “nuovi suoni” implicano per la loro natura.

Ho trovato molto interessante – e importante – l’introduzione alla storia della musica elettroacustica che fai all’inizio del volume: da un lato, per fornire degli strumenti di conoscenza non scontati per gli appassionati di questo genere, dall’altro, per far capire a chi è più dentro il mondo elettroacustico di quanto seriamente certi processi siano stati portati avanti anche in altri territori. Hai pensato a quali sono i lettori ideali del tuo libro, o quali vorresti che fossero? 

La brevissima introduzione alla storia della musica elettronica era necessaria, una sorta di brevissimo Bignami, per comprendere i legami fra queste musiche. Non si poteva pensare di approfondire più di tanto, perché quelle tematiche non erano l’oggetto principale del libro. Quando si scrive un libro, almeno questa è la mia personale esperienza, si spera che questo stimoli la curiosità di approfondire gli argomenti trattati e, in questo caso, di ascoltare le musiche che vengono analizzate ma anche le altre prodotte dai gruppi e i musicisti citati. Il mio augurio è che i lettori che conosco il rock progressivo abbiano la curiosità di ascoltare qualche pezzo elettroacustico e, viceversa, quelli che ascoltano la musica elettroacustica si avvicinino al genere progressive. 

img © Leonardo Rossi

Il suono del progresso | Intervista a Lelio Camilleri ultima modifica: 2022-05-19T16:46:13+02:00 da Luisa Santacesaria

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