Ouverture | Sulle necessità di un racconto multiculturale: una breve introduzione alle parole che verranno

di Johann Merrich*

Una nuova brezza pare muovere le pagine impolverate dei racconti della storia: lo scorso 31 marzo, la facoltà di musica dell’Università di Oxford ha annunciato l’imminente attivazione di nuovi programmi e corsi di studio capaci di diffondere e trasmettere una musica più equa e inclusiva [1]. La notizia non ha mancato di aprire vivaci e controverse discussioni, talvolta guidate da fake news e letture distorte dell’avvenimento [2].

La notizia dell’Università di Oxford dovrebbe essere accolta con caldo entusiasmo, nell’augurio che tale buona pratica possa contaminare il maggior numero di enti e istituzioni preposti all’educazione: non si dovrebbe mai smettere di ricordare che i danni arrecati dagli stereotipi e le daltonie sociali possono essere sanati attraverso l’insegnamento di storie e tradizioni più accoglienti e inclusive.

Coraggio, ammissione, sforzo, e fatica sono le quattro parole che accompagnano necessariamente il cambiamento; si deve avere coraggio per ammettere con serena onestà che – sino ad ora – abbiamo avuto una visione pigra e limitata del nostro mondo, che abbiamo ereditato e avvalorato uno sguardo ristretto su determinate porzioni di spazio, tempo e umanità. Si dovranno fare grandi sforzi e molta fatica per iniziare ad appartenere al futuro restaurando e integrando gli studi, gli insegnamenti, gli strumenti, le metodologie.

Se desideriamo che i festival e le rassegne propongano più diversità di genere, di culture e visioni, se vogliamo vedere i luoghi della tecnologia e della scienza ripopolati con maggior equilibrio, se crediamo nelle potenzialità dell’integrazione e nel valore della parità, si dovrà operare una profonda riforma di quella struttura mentale che riguarda il modo di considerare e intendere la realtà e che si determina nell’individuo, per indole e per educazione. 

La pedagogia e gli ambiti della filosofia della musica stanno dibattendo sempre più di frequente i termini del pluralismo culturale e del multiculturalismo nell’insegnamento: libri, articoli e saggi propongono un’interessante quanto impervia scatola cinese di interrogativi etici, politici e metodologici; in questo fiorire di studi e riflessioni, la diatriba pare ancora lontana dall’aver trovato una risoluzione universalmente convalidata.

Come nel gioco del telefono senza fili, il complesso dibattito incesipica ruzzolando nel senso comune: tra mistificazioni ed errori di interpretazione, il più delle volte la definizione “multiculturale” finisce con l’essere un sinonimo di compartimenti umani suddivisi per razza – un termine privo di senso dal punto di vista della biologia umana – a dispetto del suo significato aggiornato e reale, che lo vede riferito a diversi gruppi di culture, sessi e sessualità, classi sociali e religioni [3].

E così, in campo musicale, il modello di educazione multiculturale finisce ben presto sulla livella generalista, limitandosi alla – seppur encomiabile – volontà di trasmettere i suoni dei diversi popoli geografici del mondo. Così come ribadita da James A. Banks nel 1995, l’educazione multiculturale è invece un profondo movimento di riforma che mira a ottenere inclusività tra i banchi di scuola e a preparare gli esseri umani a vivere in maniera “più corretta e funzionale” questo nuovo secolo [4].

Negli anni Sessanta, studiosi come Banks iniziarono a intraprendere la loro battaglia affinché le storie e i contributi degli afroamericani fossero inclusi nei libri di testo; simultaneamente, compresero che il problema non riguardava solo la comunità nera statunitense ma che anche le donne e le razze non-europee erano state parimenti stereotipate e marginalizzate, apparendo nella storia del mondo come entità perimetrali. I riflettori della ricerca furono puntati sulle influenze degli stereotipi nella formazione delle coscienze, sulla mancanza di rappresentazione e la necessità di riportare i gruppi emarginati nella storia, come membri efficienti, collaborativi e funzionanti della società. Negli anni Novanta, s’incluse nel concetto di educazione multiculturale anche la diversità sessuale, altrettanto emarginata dal racconto [5].

L’atto di riforma dell’educazione multiculturale non riguarda solo gli insegnanti, ma anche il mondo di teorici e ricercatori, il cui lavoro può essere guidato dai 5 criteri (o dimensioni) di riferimento che possono facilitare la concezione e lo sviluppo di teorie, ricerche e pratiche. Secondo Banks, l’integrazione dei contenuti, l’analisi del processo di costruzione delle conoscenze, la riduzione del pregiudizio, l’esercizio di una pedagogia paritaria, la tensione verso il miglioramento della cultura della scuola e della struttura sociale devono essere la guida di ogni pratica e postulato [6].

Si dovrà prendere l’abitudine di creare spazio, di ricominciare tutto da capo abbandonando le vecchie certezze, di abbozzare percorsi e traiettorie ex novo cambiando i criteri della selezione e lasciando aperte morbide fessurazioni che consentano l’accesso alle voci degli esclusi.

Rispettando il verbo della tradizione, si è portati a giustificare e a liquidare l’assenza con piglio poco curioso; se la domanda «Dove erano le donne agli albori della musica elettronica?» ha cominciato a emergere con vigore solo in questo nuovo secolo, altre domande – come: «Dove erano gli afroamericani?» – tendono solo oggi a essere affrontate timidamente. Perché il silenzio storico calato sulle gesta di tante donne bianche dovrebbe avere più importanza? Iniziare a comprendere cosa abbiamo in comune, come esseri umani, è un’azione vitale per alimentare un reale senso di interconnessione.

Se si desidera scrivere una nuova storia più inclusiva ed equa, si dovrà guardare ai fatti allenando uno sguardo curioso, spogliato di certezze meccanicamente reiterate. Si dovrà considerare l’assenza come il più alto tra i valori, come una fonte che proietta contenuti di riflesso, un elemento fondamentale per la conoscenza. 

NOTE

[1] <https://www.music.ox.ac.uk/music-curriculum-renewal/>

[2]  “Cos’è questa storia di Oxford e Mozart”, in Il Post, giovedì 1 aprile 2021 < https://www.ilpost.it/2021/04/01/mozart-universita-oxford/ >

[3] K. Norman, “Music Faculty Perceptions of Multicultural Music Education”, in Bulletin of the Council for Research in Music Education, no. 139, 1999 (pp. 37–49), p. 40. <www.jstor.org/stable/40318947>

[4] J. Banks, “Multicultural Education and Curriculum Transformation”, in The Journal of Negro Education, vol. 64, no. 4, 1995 (pp. 390–400), p 391. <www.jstor.org/stable/2967262>

[5] T. K. Chapman, C. A. Grant. “Thirty Years of Scholarship in Multicultural Education”, in Race, Gender & Class, vol. 17, no. 1/2, 2010 (pp. 39–46), p. 41. <www.jstor.org/stable/41674722>

[6] Banks, op. cit., p. 392.

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img © Eeviac

Organizzatrice di suoni, Johann Merrich si occupa di ricerca e sperimentazione elettronica. I suoi progetti in solo ed ensemble – presentati a Santarcangelo Festival (2018) e alla Biennale D’Arte di Venezia (Padiglione Francia, 2017) – sono stati accolti come opening da artisti quali Zu, Teho Teardo, Mouse on Mars, Roedelius ed Evan Parker. Direttore artistico della netlabel electronicgirls, dal 2018  fa parte assieme a eeviac de L’Impero della Luce, duo dedicato alle sonorità dei campi elettromagnetici. Nel 2019 ha pubblicato per Arcana Edizioni il libro “Breve storia della musica elettronica e delle sue protagoniste”. A partire dal mese di maggio 2019, propone per musicaelettronica.it una nuova visione della storia della musica elettronica.

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http://johannmerrichmusic.wordpress.com/

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Ouverture | Sulle necessità di un racconto multiculturale: una breve introduzione alle parole che verranno ultima modifica: 2021-04-26T16:45:53+02:00 da Luisa Santacesaria

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