Brevi storie di musica elettronica | All’ombra del monte Fuji #3: i sogni amplificati di Mieko Shiomi

di Johann Merrich*

Come anticipato nella prima parte di queste Brevi Storie dedicate al Giappone, lo sviluppo della musica di sperimentazione elettroacustica ed elettronica seguì due cammini paralleli che non mancarono di mostrare alcune parentesi di intersezione: da una parte si dipanava l’attività dello studio di musica elettronica della radio Nhk (1955), dall’altra si ergevano i gruppi delle avanguardie artistiche, le cui espressioni musicali furono guidate dalle esperienze francesi, dal fenomeno dell’Intermedia Art americana e dal movimento Fluxus.

Nata a Okayama nel 1938, Mieko Shiomi aveva ricevuto sin da giovanissima una formazione musicale, coronata nel 1957 con il termine dei suoi studi alla State University of Art di Tokyo a cui seguì un dottorato nel 1962. Nel 1959 Shiomi entra a far parte del collettivo Ongaku, fondato l’anno precedente da Shukou Mizuno e Takehisa Kosugi, anche loro iscritti ai corsi di musicologia dell’università di Tokyo. Incrociando ricerca e rumore, musica e antropologia, Ongaku dà vita a un movimento musicale guidato dal concetto di scoperta per mezzo dell’improvvisazione; i gesti sono in connessione diretta con la produzione sonora, la musica è uno spazio per l’azione e il suono la traccia di un movimento fisico. Il gruppo si ritrova a casa di Mizuno, improvvisando attraverso l’uso di oggetti ritrovati, nastro magnetico e radio: i lavori di Ongaku sono il frutto di dialoghi spontanei tra suoni non-musicali e suoni prodotti da strumenti tradizionali e i risultati delle sperimentazioni sono visti come una forma di ricerca, un campo di lavoro antropologico fondato sul rumore, sull’interpretazione degli oggetti e dei corpi nei luoghi di ogni giorno.

Nel 1969 il gruppo Ongaku organizzerà uno degli eventi di arte contemporanea più importanti e controversi del Giappone: l’Intermedia Arts Festival che sarà seguito, qualche mese più tardi, dai tre giorni delle Cross Talk Intermedia, eventi concertati da alcuni compositori e musicologi giapponesi grazie a un finanziamento dell’American Culture Center.

All’Intermedia Arts Festival  –  dove fu presentata una grande selezioni di lavori di artisti parte del movimento Fluxus come George Brecht e Nam June PaikShiomi propone il suo Amplified Dream N°2, eseguito alla Nikkie Hall durante l’ultima giornata della manifestazione. L’elaborato brano di Shiomi prevedeva l’integrazione di un pianoforte con un theremin, una proiezione di cinque grandi lettere blu (M, A, L, R, I) e tre registratori a nastro magnetico: il primo di questi scorreva tra le sedute del pubblico sostenuto da stativi, mentre gli altri due erano posizionati al centro della sala e destinati alla produzione di feedback. Tutti gli elementi previsti dalla composizione interagivano tra loro, producendo una coesione organica tra le diverse parti coinvolte.

Composto immediatamente prima di Amplified Dream N°2, Amplified Dream N°1 fu la prima di tre sezioni presentate collettivamente dal gruppo Ongaku alla Cross Talk Intermedia, tre giorni di performance pensate per “esplorare nuovi usi della tecnologia nell’arte e negli eventi che prevedevano l’unione di media diversi”. La manifestazione offriva proiezioni su multischermi, live electronics, teatro, danza sperimentale e attrasse più di 10.000 spettatori; tra gli artisti invitati, la delegazione americana vide la partecipazione di Robert Ashley e Gordon Mumma assieme al film-maker Stan Vanderbeek. Le tre eterogenee sezioni proposte dal gruppo Ongaku avevano per titolo il numero di telefono del rispettivo artista; nel suo “441-4867” Shiomi orchestra Amplified Dream N°1, brano ispirato da un sogno della compositrice in cui cose che nella realtà non potevano aver nulla a che fare finivano col sovrapporsi e trasformarsi l’una nell’altra.

La complessa performance includeva tre pianoforti posizionati sul palco secondo una pianta triangolare; al centro del triangolo svettava un grande mulino a vento bianco disegnato da Shiomi ed equipaggiato di sensori luminosi su ogni pala. La luce dei fari e l’aria mossa da alcuni ventilatori dirigevano il mulino. I suoni dei pianoforti erano captati da microfoni a contatto e controllati attraverso dei modulatori ad anello che venivano accesi e spenti a intermittenza attraverso dei relays e grazie all’azione delle luci captate dalle pale del mulino. Un registratore a nastro magnetico proponeva la registrazione dei suoni di un disco fonografico di plastica manomesso casualmente con un saldatore. Il piano, l’elettronica e anche i suoni del nastro magnetico erano controllati dalle forze del vento e della luce e da una partitura in forma di codice Morse che traduceva le singole lettere del titolo dell’opera – Amplified Dream – con l’aggiunta di un punto a contrassegnare cluster e un tratto più lungo a indicare i glissando. Tutta la musica procedeva spontaneamente e gli interventi dei performer potevano solo influenzare il risultato di quel prodotto, creando così un’interrelazione tra umani, dispositivi elettronici, luci e vento.

Grazie a un invito di Yoko Ono, negli anni Sessanta Shiomi era entrata in contatto con George Maciunas, tra i fondatori del movimento Fluxus; fu così che, tra 1961 e 1964, l’artista giapponese poté prendere parte ad alcuni eventi Fluxus a New York, dove avviò anche il suo celebre lavoro di mail-art Spatial Poem. Nella metropoli americana, Shiomi intrecciò diverse collaborazioni artistiche come Disappearing Music for Face (1964), realizzata con Yoko Ono e alcune performance assieme alla violoncellista Charlotte Moorman con la quale lavorerà in diverse occasioni sino agli anni Ottanta.

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img © Eeviac

Organizzatrice di suoni, Johann Merrich si occupa di ricerca e sperimentazione elettronica. I suoi progetti in solo ed ensemble – presentati a Santarcangelo Festival (2018) e alla Biennale D’Arte di Venezia (Padiglione Francia, 2017) – sono stati accolti come opening da artisti quali Zu, Teho Teardo, Mouse on Mars, Roedelius ed Evan Parker. Direttore artistico della netlabel electronicgirls, dal 2018  fa parte assieme a eeviac de L’Impero della Luce, duo dedicato alle sonorità dei campi elettromagnetici. Nel 2019 ha pubblicato per Arcana Edizioni il libro “Breve storia della musica elettronica e delle sue protagoniste”. A partire dal mese di maggio 2019, propone per musicaelettronica.it una nuova visione della storia della musica elettronica.

https://soundcloud.com/johann-merrich
http://johannmerrichmusic.wordpress.com/

Brevi storie di musica elettronica | All’ombra del monte Fuji #3: i sogni amplificati di Mieko Shiomi ultima modifica: 2020-02-18T09:56:15+01:00 da Luisa Santacesaria

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