finestresonore~ | Il concerto acusmatico

di Daniele Carcassi

In questo periodo in cui la musica dal vivo sembra essere un ricordo lontano o una speranza in cui credere, mi ritrovo spesso a pensare al concerto acusmatico[1] e alla sua particolare fruizione, sia per il tipo di performance musicale sia per l’effetto strabiliante che continua a offrire al pubblico. Ritengo che l’esperienza acusmatica abbia cambiato drasticamente il mio modo di pensare e percepire la musica, rendendo flessibile il mio ascolto anche nei contesti quotidiani. Cercherò in queste poche righe di esporre quelli che ritengo essere aspetti fondamentali di questa pratica.

Per rispettare un’esperienza acusmatica non deve essere previsto alcun legame visivo ma, dal momento in cui stiamo parlando di “concerto”, è necessario che la musica coesista con la sua rappresentazione. Per questo motivo, infatti, sono state individuate pratiche specifiche come ad esempio la moltiplicazione e la diversificazione dei punti di ascolto (tramite coppie di altoparlanti che consentono una distribuzione spaziale adattabile alla sala da concerto) e la possibilità di controllare la dinamica in tempo reale. Alcuni compositori hanno fatto della musica acusmatica e della sua proiezione nello spazio la loro arte principale: Annette Vande Gorne (Charleroi, 1946), ad esempio, ha dedicato molti studi all’approfondimento e allo sviluppo dell’interpretazione spaziale.

Annette Vande Gorne, Bois (1993)

Grazie ad alcune esperienze storiche che hanno influenzato l’arte acusmatica (come l’Acousmonium GRM di Parigi o il BEAST System di Birmingham), si è diffuso il pensiero che un lavoro concluso in studio non fosse realmente completo e che il suono, essendo un fenomeno vivente, dovesse essere controllato anche durante l’esecuzione riservandosi così la possibilità di adattarsi allo spazio della sala da concerto. Si credeva, infatti, che un’opera di musica su supporto creata in studio rappresentasse soltanto una versione dell’opera stessa rapportata a un piccolo spazio, e che quindi, per riprodurla su larga scala, fosse necessario ampliarla, creando durante l’esecuzione una versione che entrasse in relazione con il nuovo spazio della sala da concerto, in modo da rendere tutti gli elementi sonori più chiari e facilmente percepibili. Per questo motivo è nata la figura dell’interprete acusmatico: ovvero colui che interpreta la proiezione di brani acusmatici non necessariamente da lui stesso composti. Al giorno d’oggi, la pratica più comune prevede che siano i compositori stessi ad occuparsi della proiezione delle proprie opere e per molti il concerto è proprio il palcoscenico finale della composizione. Da interprete e compositore acusmatico, sono d’accordo sul fatto che non sia possibile fornire una versione “definitiva” di una composizione, poiché questa risentirà sempre delle caratteristiche acustiche delle sale da concerto in cui viene riprodotta. Nonostante sia meno frequente, apprezzo quando i lavori acusmatici vengono eseguiti da un interprete esperto che non sia il compositore stesso, proprio perché quest’ultimo può avere una comprensibile mancanza di prospettiva e di criticità sul proprio lavoro. Come il compositore strumentale ripone fiducia nelle capacità dello strumentista, il compositore acusmatico la ripone nell’interprete: quest’ultimo deve infatti avere la sensibilità di valorizzare l’opera e creare un ponte comunicativo tra il compositore e il pubblico.

Durante la MARATONA SOUNDSCAPE del Tempo Reale Festival 2018 ho avuto l’occasione di ascoltare Paisajes ocultosdi Raul Minsburg (Buenos Aires, 1965), eseguito dal compositore Lelio Camilleri (Roma, 1957) che, con un’interpretazione raffinata, mi ha permesso di entrare nell’ambiente sonoro del brano e percepirlo come materializzatonella sala da concerto.

Raul Minsburg, Paisajes ocultos (2009)

Cosa vuol dire esattamente proiettare e interpretare una musica già composta e fissata su supporto? 
Sono convinto che “interpretare” significhi soprattutto tradurretrasmettere e persino personalizzare un’opera, mostrandola in un’altra forma seppur rispettandone la musicalità concepita dal compositore. L’interprete acusmatico propone la propria versione di un brano, mettendo in risalto la propria sensibilità artistica e la propria capacità tecnica, proprio come un interprete strumentale. Ecco alcuni aspetti in comune:

  1. La relazione con il gesto
    Anche se l’interprete acusmatico non introduce elementi sonori nell’opera, è necessario intervenire manualmente con sapienza sulla console di proiezione per agire sullo sviluppo complessivo dell’opera, esattamente come uno strumentista
                                                                                                   
  2. Rapporto in tempo reale
    Il gesto e l’assenza di gesto partecipano al risultato finale: i due interpreti reagiscono spontaneamente e in tempo reale di fronte al pubblico e secondo la propria ispirazione
                                                                                                   
  3. La predisposizione
    Entrambe le tipologie di interpreti devono “servire l’opera” dandone un’interpretazione personale. L’interprete acusmatico agisce sulla resa sonora generale dell’opera, dando la direzione complessiva all’orchestra di altoparlanti:tutti i suoi gesti devono provenire da strategie spaziali sufficientemente pensate in anticipo (durante la preparazione e le prove) per essere “efficaci”.                                       

Da quest’ultimo punto, però, possiamo forse riflettere sul fatto che la figura dell’interprete acusmatico è più simile a quella di un direttore classico (non a caso gli acousmonium sono comunemente definiti come “orchestre di altoparlanti”) invece che a quella di un interprete strumentale: il direttore, infatti, non si preoccupa di produrre il singolo suono, i suoi gesti sono globali e il suo lavoro è una modellatura generale della struttura musicale. Il “dettaglio”, anche per l’interprete acusmatico, è meno essenziale perché è già fissato sul supporto. Fintanto che il segnale audio è aperto e ha un buon livello di udibilità, l’assenza di intervento da parte dell’interprete acusmatico non danneggia in alcun modo l’esecuzione. Interventi raffinati, delicati ed espressivi riescono, invece, ad enfatizzare l’ascolto come non sarebbe possibile tramite un semplice sistema di riproduzione audio. 
È per questo che il concerto acusmatico può essere un’esperienza di ascolto unica e sorprendente.

[artwork © Agnese Banti]


[1] Il termine musica acusmatica fu introdotto nel linguaggio comune della musica elettroacustica da François Bayle (Tamatave, 1932) nel 1974, ritenendo inadatto il termine “elettroacustico”, nato negli anni ‘60 e associato alla musica derivata dalle esperienze della musique concrète di Parigi e della elektronische musik di Colonia. In un’epoca nella quale sorgevano frequenti incomprensioni sul termine “elettroacustico”, associato sia alle composizioni sperimentali prodotte in studio, sia agli strumenti elettroacustici esistenti (chitarra elettrica, onde martenot, sintetizzatori), Bayle decise di trovare un nuovo termine, più appropriato, da attribuire alla sua musica, creata attraverso quelle che lui definiva immagini sonore (images-de-sons) e percepita attraverso la loro proiezione tramite altoparlanti. “Acusmatico” (derivante dal greco akousma, percezione uditiva, nato nel V° secolo a.C nel contesto della scuola pitagorica e impiegato per descrivere una certa situazione sviluppata attraverso il rigoroso silenzio visivo) è quindi il termine corretto per descrivere l’estetica e le condizioni di realizzazione e di ascolto di questa musica invisibile.

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La rubrica finestresonore~ racconta l’identità molteplice di persone, approcci, opinioni e interessi all’interno del campo della musica sperimentale e delle arti sonore che dà vita a Elettronica Collettiva Bologna~, ovvero un pensiero musicale e una realtà collaborativa nati nella Scuola di Musica Elettronica del Conservatorio G.B. Martini di Bologna.

finestresonore~ | Il concerto acusmatico ultima modifica: 2021-03-02T10:01:57+01:00 da Luisa Santacesaria

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