Brevi storie di musica elettronica #1 | Migrazioni: Hilda Dianda e la sua genesi elettronica

di Johann Merrich* [Pubblichiamo il primo contributo di «Quattro “Brevi storie” per conoscere l’operato di alcune compositrici che hanno contribuito a disegnare il panorama elettronico italiano del secondo dopoguerra. Curiosità in pillole per ricordarci che è nostro compito ricostruire e tramandare le storie secondo un punto di vista critico, paritario e universale» (Johann Merrich)] Questa storia inizia a Milano nell’ottobre del 1959, quando la compositrice argentina Hilda Dianda, nata a Córdoba nel 1925 da padre italiano emigrato all’estero, si trasferisce “in una assai bella villetta vicina alla Rai, in Via Alatri 5”. Il 12 novembre di quell’anno, Dianda è alle prese con gli oscillatori dello Studio di Fonologia dove “tutto va benissimo”: il suo lavoro è così soddisfacente da farle scrivere a un caro amico che alla Rai si stava “elettrificando magnificamente”. L’identità del destinatario di quella missiva – e di molte altre conservate presso l’Archivio per la Musica della Fondazione Giorgio Cini di Venezia – cela il nome di Gian Francesco Malipiero, riconosciuto da Dianda come “l’unico artista nel quale io abbia fede e fiducia”. L’amicizia tra i due era nata un decennio prima a Buenos Aires grazie all’insegnante di Dianda, Honorio Siccardi, formatosi in Italia sotto la guida di Malipiero. Nel corso della sua carriera, Dianda farà molto per la promozione dell’opera del Maestro in Argentina e sarà variamente impegnata nella diffusione della cultura contemporanea italiana all’estero. Riconoscente estimatore del suo talento, Malipiero l’aiuterà in molte occasioni, non ultima l’ammissione allo Studio di Fonologia di Milano, dove Dianda produrrà il suo primo brano elettronico: Dos Estudios En Oposición. Scrive Dianda: “Nonostante il limite di tempo imposto, ho lavorato credo abbastanza bene e sono riuscita a fare un’opera che è rimasta proprietà della radio. Ha una durata di 6’45” e, nel costruirla, ho avuto intenzione di approfittare diversi contrasti sonori, timbrici etc. Perciò il suo titolo è 2 studi in contrasto. Quella allo Studio di Fonologia non è la sola apparizione italiana della compositrice: la troviamo – molto probabilmente – a Venezia nel 1948, ai corsi di Scherchen in direzione d’orchestra organizzati da Biennale Musica; nell’estate del 1959 è a Roma, dove tenta invano di collaborare con la Rai attraverso le sue partiture; nel 1962 è a Firenze, inclusa nel programma del festival Vita Musicale Contemporanea. A causa dei gravi disordini politici che si avvicendarono di continuo nel suo paese natale, Dianda trascorse lunghi periodi all’estero sino a quando, nel 1972, scelse temporaneamente l’esilio volontario, come molti altri compositori latinoamericani. Il suo vagabondare iniziò ancora una volta dall’Italia, al Symposium internazionale sulla problematica dell’attuale grafia musicale organizzato dall’Istituto Italo-Latino Americano di Roma. La produzione musicale di Dianda non è stata dedicata esclusivamente alla musica elettronica, anzi, questo tipo di attività sarà in un qualche modo marginale, se paragonato al numero di composizioni per orchestra ed ensemble; tuttavia, tale operatività in campo elettronico ed elettroacustico nascerà proprio in Italia e si svilupperà in modo parallelo alla sua carriera “tradizionale”, vedendola inoltre impegnarsi nella disseminazione della materia elettronica in patria. L’esperienza italiana la porta a realizzare A-7, composizione elettroacustica elaborata tra 1965 e 1966 durante un periodo di residenza all’electronic music studio del San Fernando Valley State College di Northridge, California. Dedicato all’amica Emma Curti, il brano è costruito attorno alla sola esecuzione di uno strumento, il violoncello, rafforzata da registrazioni su nastro manipolate in studio e propagate da sei diffusori distribuiti nella sala da concerto. La sua terza composizione elettronica, Depues el silencio, è scritta al Cicmat (Centro de Investigaciones en Communicación Masiva, Arte y Tecnología) di Buenos Aires tra 1975 e 1976, anni del suo ritorno in Argentina. Strumento di protesta contro le dittature militari, il brano è terminato in concomitanza con la chiusura del Cicmat, fatto accaduto durante il più brutale periodo di repressione di Stato vissuto dall’Argentina. Molte furono le compositrici e i compositori dell’America Latina che in quelle decadi di estremo disordine lasciarono il proprio paese per formarsi in Europa e perseguire altrove la carriera; altrettanti però, come Jaqueline Nova (1935-1975), decisero di restare e di impegnarsi in favore della dignità culturale e sociale del proprio paese. Esponente della prima scena elettronica colombiana e autrice di una delle prime opere del genere prodotte in Colombia (Ensayo Electrónico, 1964, in collaborazione con Fabio González Zuleta), Nova si diploma al conservatorio nel 1967 vincendo una borsa di studio che la porterà a seguire i seminari di Luigi Nono, Alberto Ginastera e Francisco Kröpfl in Argentina. Le sue composizioni s’intrecceranno poi con le arti visive, generando espressioni di arte interattiva e partecipativa rappresentate da opere come Espacios (1969), realizzata in occasione di un’esposizione della scultrice Juliana Acuña. Ma chi decise di lasciare il continente latinoamericano non lo fece per codardia o ignavia: stabilire dei centri di ricerca che potessero garantire continuità agli artisti era al tempo davvero arduo e tale condizione di fragilità culturale non riguardava esclusivamente i centri di produzione musicale. Volenterosa di sfondare nel campo delle arti visive, negli anni Sessanta l’argentina Beatriz Ferreyra (1937) fece di Parigi la sua nuova casa; nella capitale francese fu folgorata da una conferenza di Pierre Schaeffer che la introdusse al mondo della musica elettroacustica e agli ambienti del GRM per cui inciderà numerosi lavori assistendo, inoltre, al processo di edizione del Traité des Object Musicaux. Continente spesso sottovalutato in favore di visioni maggiormente focalizzate sull’Europa o sugli Stati Uniti, il Sudamerica vanta fondamentali connessioni con il nostro paese: dalla nascita dello Studio di Fonologia di Francisco Kröpfl, alle influenze esercitate dai seminari di compositori come Luigi Nono, alle innumerevoli collaborazioni e scambi – come quello tra Luciano Berio e Jocy De Oliveira; in ogni angolo dove poggiamo il nostro sguardo, le donne sono sempre lì, tra oscillatori e nastri magnetici.
img © EeviacOrganizzatrice di suoni, Johann Merrich si occupa di ricerca e sperimentazione elettronica. I suoi progetti in solo ed ensemble – presentati a Santarcangelo Festival (2018) e alla Biennale D’Arte di Venezia (Padiglione Francia, 2017) – sono stati accolti come opening da artisti quali Zu, Teho Teardo, Mouse on Mars, Roedelius ed Evan Parker. Direttore artistico della netlabel electronicgirls, dal 2018  fa parte assieme a eeviac de L’Impero della Luce, duo dedicato alle sonorità dei campi elettromagnetici. Nel 2019 ha pubblicato per Arcana Edizioni il libro “Breve storia della musica elettronica e delle sue protagoniste”. A partire dal mese di maggio 2019, proporrà per musicaelettronica.it una nuova visione della storia della musica elettronica. https://soundcloud.com/johann-merrich http://johannmerrichmusic.wordpress.com/
Brevi storie di musica elettronica #1 | Migrazioni: Hilda Dianda e la sua genesi elettronica ultima modifica: 2019-06-14T09:39:04+02:00 da Luisa Santacesaria

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